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L'omosessualità è innata?
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L'omosessualità è innata?
La recente affermazione secondo cui gli scienziati avrebbero escluso una componente biologica legata all'omosessualità è una semplificazione eccessiva. La verità rivelata dallo studio internazionale è ben più complessa.

L’omosessualità è una condizione innata?
L’omosessualità non sia una malattia. La realtà è che quando si discute di orientamento sessuale, il dibattito avviene spesso in modo eccessivamente rumoroso e, troppo frequentemente, privo di fondamenti scientifici e conoscenza approfondita.

Negli anni '90 si sosteneva il contrario
Agli inizi degli anni '90, si iniziò per la prima volta a indagare il patrimonio genetico degli individui omosessuali. Gli scienziati partivano da un'assunzione consolidata, ampiamente condivisa anche oggi: la probabilità di essere omosessuale è significativamente più alta se il gemello geneticamente identico lo è; la probabilità diminuisce con il gemello fraterno, ulteriormente con il fratello non gemello, un cugino, un fratello adottato, fino a un estraneo. Un dato così robusto non può non stimolare ulteriori ricerche genetiche. È così che i colleghi del piano inferiore scoprirono che nel locus genico Xq28, quindi nel cromosoma X, è presente una variante genetica negli uomini omosessuali.
Alcuni protestarono, ma molti omosessuali sostennero il bloccò dei finanziamenti federali alla ricerca sul cromosoma X. La questione è tanto mediatica e politica da aver offuscato, sia allora che ora, una valutazione serena e obiettiva dei dati sperimentali.

Ieri e oggi: chi ha realmente ragione?
Ma chi ha ragione, allora? Rileggendo i due studi originali, nessuno ha ragione nei termini espressi dai media, ma entrambi sono validi nelle evidenze scientifiche.
Trent’anni fa, il lavoro originale non affermava di aver scoperto alcun gene, ma solo una variante genetica, un concetto molto diverso da quello di malattia. L'idea di una variante genetica è (e rimane) molto plausibile, non solo per quanto riguarda i gemelli, ma anche per l'esperienza clinica di chi lavora con persone omosessuali. Infatti, la maggior parte di loro risponde alla domanda «Da quando sa di essere omosessuale?» con un «Da sempre», evidenziando la difficoltà di accettarlo sia interiormente che in un contesto sociale spesso caratterizzato da un’omofobia radicata e patologica. Non si tratta quindi di un gene, ma di un insieme di fattori con una forte componente biologica, intrinsecamente legata alla personalità dell'individuo, in cui la variante genetica funge più da marcatore che da causa.

Un’indicazione genetica sull’omosessualità
Una variante di normali geni suggerisce quanto l’omosessualità sia innata, proprio come riteniamo lo sia l’eterosessualità. Infatti, nessuno ha mai cercato un gene specifico per l’eterosessualità, mentre comunemente pensiamo che gli eterosessuali siano tali per natura.

Cinque marcatori genetici associati all’omosessualità
Tornando agli sviluppi recenti, è importante comprendere cosa sia emerso dalla ricerca della scorsa estate. Il modello utilizzato in questo studio era significativamente diverso da quelli precedenti. I primi ricercatori si concentrarono su un campione limitato di uomini che si identificavano come omosessuali, basandosi su una celebre scala sviluppata da Alfred Kinsey, uno dei sessuologi più influenti, che misura l’auto-definizione dell’orientamento sessuale. In contrasto, gli autori del nuovo studio classificano il loro campione in base all’esperienza di aver avuto o meno rapporti omosessuali. Questo approccio potrebbe risultare un po’ disomogeneo, poiché è possibile che alcuni individui (quanti esattamente è difficile dirlo) che hanno avuto relazioni con persone dello stesso sesso non lo desiderassero realmente, ma siano stati indotti a farlo da fattori esterni o semplicemente dalla voglia di trasgressione. Allo stesso modo, una parte di coloro che affermano di non aver mai avuto rapporti omosessuali potrebbe in realtà desiderarli. I due gruppi analizzati non si differenziano per un singolo marcatore genetico, ma per ben cinque, con una variabilità notevole, probabilmente riconducibile alla disomogeneità del campione, che non distingue orientamenti chiari («cosa vorrei fare») ma comportamenti osservati («cosa ho fatto»). Altro che l’assenza di un gene gay: esistono cinque marcatori genetici identificabili in circa un terzo o un quarto delle persone che hanno avuto almeno un’esperienza omosessuale. Utilizzando un linguaggio tecnico comprensibile, gli autori concludono che il comportamento non eterosessuale è poligenico, non monogenico, come avviene per tutti i comportamenti complessi influenzati geneticamente. Se questa non è una prova della componente biologica dell’orientamento sessuale, che cos’altro può esserlo?

Impossibile prevedere l’omosessualità
Tuttavia, su un aspetto è giusto riconoscere le osservazioni dei ricercatori moderni: non esiste, né è mai esistito, alcun marcatore in grado di prevedere con certezza l’omosessualità di un individuo. Ciò non accadrà mai, poiché il comportamento sessuale è eccessivamente complesso e multifattoriale, coinvolgendo un gran numero di geni e gli effetti imprevedibili che rendono l’orientamento sessuale una variazione naturale influenzata da un intricato sistema biologico.

L’esperienza non modifica l’orientamento sessuale
Infine, c’è un ulteriore aspetto interessante in questa discussione, che può apparire controverso, ma si rivela piuttosto chiaro nella lettura degli studi scientifici originali. Sebbene non esista un gene che determini l’omosessualità (ma dimostrano che esistono cinque marcatori genetici significativi nelle persone che hanno avuto rapporti con membri dello stesso sesso), devono necessariamente essere l’ambiente e le esperienze a influenzare il comportamento.

L’argomento dell’orientamento sessuale e le sue implicazioni scientifiche
Questo tema, per usare un termine degli Scolastici, può sembrare molto razionale e potrebbe anche apparire corretto, ma risulta inaccettabile da un punto di vista strettamente scientifico. Nonostante esista una documentazione chiara e convincente riguardo alla presenza di fattori biologici associati all’orientamento e al comportamento sessuale, non c'è alcuna prova sperimentale, né prospettica né retrospettiva, che dimostri l'influenza della cultura, dell’esperienza o dell’ambiente. Nessuno è mai riuscito a dimostrare che una certa situazione – un evento, un incontro, un’educazione, ecc. – nella vita di un individuo possa determinare necessariamente un orientamento eterosessuale o omosessuale. È curioso che pochi abbiano colto il fatto che ogni affermazione di questo tipo non sia solo categorica, ma spesso priva di fondamento o persino motivata da interessi particolari.

Assenza di “terapie” per la conversione degli orientamenti sessuali
Non intendo negare l'evidente possibilità che le esperienze possano influenzare i comportamenti di uomini e animali, i quali sono estremamente adattabili. Tuttavia, dovrebbe essere altrettanto chiaro che prima di affermare come questo si applica all’omosessualità (che è ben diversa dai semplici comportamenti omosessuali) è necessaria una rigorosa dimostrazione scientifica, non semplici supposizioni o intuizioni. È indiscutibile: non ci sono stati casi documentati scientificamente di veri omosessuali che siano diventati genuini (e non forzati) eterosessuali attraverso psicoterapie o processi di rieducazione. Questo dovrebbe mettere a tacere coloro che intendono trarre conclusioni politicamente corrette o scorrette, rivestendosi del camice da scienziato per sostenere le proprie posizioni.

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